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Maria Rosa Menzio

La produzione dell’artista tanto più diventa umana, quotidiana e sociale quanto più universali, pulite e pure sono le sue opere. Un’umanità senza tempo, il presentimento di un eterno ritorno, di un universo ciclico. Questo è dietro ai suoi lavori sugli oggetti di arredamento, recuperati per farne simbolo artistico. Ecco quindi le persiane, lo stupendo cerchio di bicicletta, lo schienale della sedia…
La ricerca di un posto in un’umanità operosa: questa, in sintesi, mi è parsa la cifra vincente nel lavoro di Bruno Ciasca, che a questa ricerca di uno spazio non risponde mai che detto spazio sia “altrove”. Le sue due opere più rappresentative mostrano un lato sacrale. Una è il triangolo, visto come continuazione ed emanazione del lato tessile, con un’annodatura (si tratta di una camicia) che crea un alone, L’altra, quasi uno stemma nobiliare, è un sole in campo azzurro, formato dal rovescio di un tessuto… dal lavoro alle stelle. Questo itinerario artistico avviene secondo i moduli di un universo culturale che è il seguente: “non la somiglianza, non la qualità d’informazione, ma la facilità con cui tale informazione è trasmessa ci dà il realismo della rappresentazione delle arti figurative”. Così dice Goodman. E Ciasca risponde con un arcobaleno. Nell’artista dunque c’è un cammino, una leggenda tutta da vivere. Bruno Ciasca è artista del nostro tempo, forse anche un poco in anticipo sui tempi; ma che si inserisce perfettamente nel discorso culturale della fine di questo millennio.”

(Maria Rosa Menzio)